Perchè sempre per fame
A proposito di contratti d'area e del Comune di Monte Sant'Angelo
Ha creato sconcerto la decisione del Comune di Monte Sant'Angelo di destinare un'ampia zona della piana di Macchia ad insediamenti industriali, contro ogni logica di rispetto ambientale, verso un territorio di grande valore paesaggistico, e col rischio di riaprire una ferita solo apparentemente rimarginata. Infatti, la nostra popolazione, non sentendosi tutelata neanche su temi per cui si è così a lungo battuta, potrebbe, ancora una volta, far partire una dura protesta per la difesa del proprio campanile e per diritti solo blandamente difesi. E' un limite della nostra città, che tendenzialmente è pacifica(anche troppo) e poi reagisce in modo eccessivo, quando avverte che sta per subire un grave sopruso. Ho l'impressione che le forze politiche non abbiano ben inteso il motivo della famosa protesta, prima esplosa in maniera violenta e poi gradualmente incanalatasi nell'alveo istituzionale, di dieci anni fa. Quella protesta, infatti, non fu solo una rivolta per ottenere il rispetto della sicurezza e della salute dei cittadini, ma anche contro la politica dell'inganno e dei giochetti, una politica incapace di ascoltare le popolazioni che dichiarava di rappresentare.
E' fin troppo evidente che al Comune di Monte Sant'Angelo non interessano i bisogni e le attese della popolazione di Manfredonia. In tutta la sua storia - dalla secolare rivendicazione della piana di Macchia, all'assurda pretesa di consentire l'insediamento, in quella stessa piana, di una centrale termoelettrica funzionante a nafta, fino alle concessioni per l'insediamento dell'ANIC e quindi alla difesa strenua ed irresponsabile dell'EniChem - il Comune di Monte Sant'Angelo ha perseguito solo l'obiettivo di difendere i propri interessi economici, occupazionali e - vista la sua lontananza da tutti gli insediamenti industriali - perfino ambientali, senza minimamente preoccuparsi dei nostri bisogni. Tuttavia, forse, più che demonizzare i rappresentanti politici di quel comune, sarebbe opportuno riflettere sull'inadeguatezza di coloro che ci hanno amministrato, non sempre dimostratisi all'altezza del loro compito di tutela dei nostri interessi materiali ed umani. Non dimentichiamo che la lotta contro la "nave dei veleni", continuata poi contro l'EniChem, è partita con un manifesto fatto affiggere da varie associazioni professionali e culturali, in cui si chiedeva nel titolo "CHI DIFENDE MANFREDONIA?".
E' la stessa domanda che viene spontanea, adesso, pensando ai contratti d'area. Ciò perché, avendo ogni medaglia il suo rovescio, questi accordi di reindustrializzazione rischiano di arrecarci, ancora una volta, più danni che bene. Se è vero che è difficilmente ripetibile lo scempio arrecato alla nostra città da parte dell'EniChem, è anche vero che vi sono tutte le condizioni per un'altra stagione nefasta: dall'impellente bisogno di lavoro, alle facili e frettolose autorizzazioni, garantite per legge, alla vicinanza delle industrie col centro abitato di Manfredonia, alla competenza territoriale sul sito, all'ignoranza delle sostanze lavorate, al problema dello smaltimento delle scorie, al paventato rischio di avvio dell'inceneritore. Vi sono già seri dubbi, vista la distanza dalla nostra città, circa la compatibilità di alcuni previsti insediamenti chimici e per la lavorazione del vetro; ad essi va aggiunta la constatazione che, anche nel caso di industrie che non superano singolarmente la soglia consentita di inquinamento, l'impatto ambientale non va accertato azienda per azienda, ma per tutte quante cumulativamente. Nello stesso tempo non sembra che il Comune di Manfredonia si stia attrezzando per stilare una mappa dei rischi, né tanto meno - è facile prevederlo! - lo farà il Comune di Monte Sant'Angelo.
Ma io capisco bene che è opportuno fermarmi qui e non andare oltre, perché in questo clima di frenetica attesa è davvero difficile essere ascoltati. Questa sorta d'industrializzazione è partita, a Manfredonia come altrove, col suono di grancassa e si è rivolta soprattutto a quelle aree che particolarmente patiscono la crisi d'abbandono delle industrie. E' un nuovo corso di politica industriale, deciso dal Governo Prodi, nel tentativo di risollevare, con i finanziamenti pubblici, le sorti del Sud. Non mi sembra che sia una politica molto nuova. Senza fare un grande sforzo di memoria, può venire da pensare alle famose cattedrali nel deserto ed alla politica delle partecipazioni statali, che tante illusioni e disillusioni hanno suscitato nel passato. Ma perché questo nostro Meridione deve sempre essere preso per fame?
Allora, per cambiare quadro di riferimento, immaginiamo, per la nostra città, uno scenario verosimile, se non ancora reale. I nostri politici, senza averne il merito, festeggiano per una decisione presa altrove e da loro subita nel peggiore dei modi; la gestiscono malissimo, per eccesso di entusiasmo e per mancato coinvolgimento della popolazione. Fra quattro anni, una volta cessati i previsti finanziamenti pubblici, dopo che non sono state soggette ad alcun controllo, le industrie abbandonano un paesaggio devastato e ormai non più utilizzabile né per fini turistici né per industrie leggere o funzionali al turismo. Quale sarà, allora, il destino della nostra città?
Una cosa è certa. La scelta di insediamenti industriali nella piana di Macchia e questo nuovo sviluppo economico della città, che condizionerà Manfredonia per gran parte del prossimo secolo, all'avvio del terzo millennio, avrebbe avuto bisogno di una concertazione che coinvolgesse l'intera popolazione.
Ecco, allora, che in questo momento si sente la mancanza di un movimento capace di condizionare, se pure costruttivamente, le scelte politiche. E' stato commesso, a suo tempo, l'errore di fidarsi e mettere tutta la questione nelle mani dei rappresentanti istituzionali, senza vigilare che gli impegni presi fossero mantenuti. Così, partiti e sindacati, trovatisi a gestire da soli la questione dello smantellamento dell'inceneritore e della chiusura dell'EniChem, hanno ripreso a cincischiare, a rallentare l'impegno, ad ignorare le richieste dei cittadini, a dire e non dire, ad affermare e smentire, e dunque a lasciare che le cose si addormentassero. Da parte sua, dopo aver smantellato la propria organizzazione, il movimento ambientalista è totalmente mancato, non ha più incalzato, né proposto alcunché. Per esempio, non ha chiesto la realizzazione di uno degli slogan del movimento, che era questo: "L'EniChem non se ne può andare. Deve prima bonificare". Si è persa la grande occasione di programmare la fuoruscita dall'EniChem, quando si era a bocce ferme ed era cessato l'accanimento ed il fuoco delle polemiche. Si poteva, anche, rilanciare la famosa "Vertenza Manfredonia", altro cavallo di battaglia del Movimento cittadino, in cui poter unire gli operai chimici e la popolazione, per ottenere la fuoruscita dalla crisi, attraverso la valorizzazione turistica della piana di Macchia - previa bonifica del sito ed utilizzo di una parte del porto per l'attracco di natanti sportivi e d'altura - e l'industrializzazione dell'apposita area di ponente, a giusta distanza dalla città e, per giunta, ben servita da un'ampia superstrada e dalla linea ferroviaria. Ciò, oltretutto, avrebbe avuto il merito di eliminare alla radice l'antico conflitto tra la nostra città ed il Comune di Monte Sant'Angelo. Invece è potuto passare sotto silenzio l'imbroglio di qualche politico senza principi che ha finto di credere che l'EniChem potesse riaprire o ha chiesto, in alternativa, che il suo sito fosse reindustrializzato.
Così, Manfredonia sta interpretando, ora, questo nuovo corso della sua storia; mentre la coscienza ambientalista, maturata dieci anni fa, sembra essersi assopita. C'era una formula, durante gli anni della lotta, che amavo particolarmente, ed era questa: Non solo ecologia ambientale, ma morale. Il grosso problema di Manfredonia, che non riguarda però solo la nostra città, è la separazione netta tra etica e politica. Si galleggia sul potere come se la politica fosse un idolo da adorare. Anche i nuovi referenti politici hanno imparato la lezione, ma in maniera rovesciata, considerando la politica un luogo per le proprie arrampicate solitarie, non piuttosto un'arma da brandire per il benessere della nostra città. E di questo, tutti noi paghiamo le conseguenze.